Sentirsi senza energie, distanti mentalmente dal luogo di lavoro, come risucchiati in una bolla. Fatica a svolgere anche mansioni semplici e ripetitive. E’ la sindrome del cambio di stagione??? Non solo e non sempre.
È una malattia in graduale aumento trai lavoratori dei paesi occidentalizzati a tecnologia avanzata e si manifesta soprattutto in quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate. E’ il Burnout, che in italiano si traduce con i termini “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”. Possiamo sintetizzarlo come un sentimento di stress che diventa patologico attraverso la somatizzazione: le risorse psicofisiche vengono meno e le prestazioni professionali peggiorano.
Nel 1975 la psichiatra americana Christina Maslach utilizza il termine Burnout per indicare una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale e lo definisce come: “La sindrome da esaurimento emotivo, da depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale che può presentarsi in soggetti che per professione lavorano a contatto con esseri umani, a volte con problemi o motivi di sofferenza”. Le professioni più a rischio di andare incontro al Burnout sono le “helping professions” o le “high-touch”, categoria di operatori che offrono educazione, sostegno e cure alle persone in difficoltà, come operatori sociali, medici e infermieri, psicologi e psicoterapeuti, insegnanti, pompieri, poliziotti, assistenti sociali. La Maslach individua le cause specifiche del Burnout, tra cui il sovraccarico e la mancanza di controllo sul proprio lavoro, le gratificazioni insufficienti, il crollo del senso di appartenenza, l’assenza di equità come la scarsa remunerazione, e descrive le tre dimensioni tipiche del Burnout: esaurimento, cinismo, inefficienza.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo classifica come un fenomeno “occupazionale”, una sindrome da stress cronico, che riguarda la sfera lavorativa.
Secondo un recente sondaggio del McKinsey Health Institute condotto su 30.000 dipendenti in 30 paesi, soffrono di Burnout circa due lavoratori su dieci a livello globale. In particolare, i tassi più alti si evidenziano in India (59%). I più bassi in Camerun (9%). L’Italia si colloca nella parte bassa della classifica, riportando solo il 16%dei sintomi di Burnout, nonostante la percentuale di esaurimento delle forze e conseguente stanchezza fisica e mentale sia alta (43%). Una diffusione capillare, che colpisce però soprattutto i lavoratori di piccole aziende, probabilmente meno strutturate dal punto di vista del welfare.
Un altro sondaggio pubblicato su People Management rende evidente le difficoltà di Millenials e GenZ: il 50% si sente stressato sul posto di lavoro per la maggior parte del tempo, mentre circa l’80% sarebbe pronto a licenziarsi. Il fenomeno delle “grandi dimissioni” è anche indice di reazione a una cultura aziendale tossica, che i più giovani hanno sempre più il coraggio di rifiutare.
Come si può intervenire? Diventa essenziale investire sulla crescita delle persone, aiutando ogni risorsa a raggiungere il proprio potenziale e costruendo così un ambiente di lavoro sano e positivo.
Una fetta importante di lavoratori italiani (una percentuale che oscilla tra il 22% e il 50% a seconda dei diversi studi a cui si può fare riferimento) si sente a disagio nel parlare della propria salute mentale con i propri manager di riferimento, mentre della metà di coloro che hanno comunicato al datore di lavoro i propri sintomi da stress, uno su tre afferma di non aver ricevuto supporto. Diventa pertanto vitale dare concretezza a progetti volti a creare un ambiente lavorativo sicuro, solidale e orientato all’ascolto, a cominciare dallo strutturare piani di formazione in grado non solo di prevenire il Burnout dei collaboratori, ma soprattutto di aiutare i leader aziendali a captare tali segnali e ad adottare comportamenti che ne minimizzino il rischio.
Il tema è sotto i riflettori ed anche in Italia molte aziende stanno progressivamente implementando politiche di attenzione e sensibilizzazione verso il Burnout e il benessere dei dipendenti. Queste politiche possono includere una serie di iniziative volte a promuovere un ambiente di lavoro sano e sostenibile, prevenire il Burnout e supportare i dipendenti nel gestire lo stress e migliorare il loro benessere complessivo.
Alcune aziende italiane che hanno dimostrato un impegno significativo verso il benessere dei dipendenti includono Eni, Ferrero, Intesa San Paolo, Barilla, UniCredit. Ciascuna di loro ha implementato politiche per migliorare il benessere dei dipendenti, compresi programmi di supporto psicologico, iniziative per promuovere la salute mentale e servizi di consulenza.